# I. # Introduzione stituzioni pubbliche e organismi scientifici hanno dato vita, nei vari paesi del mondo, a linee guida o direttive alimentari per indirizzare il consumatore verso una dieta sana e bilanciata. Il modello alimentare più diffuso a livello internazionale è la dieta mediterranea, frutto di numerosi studi epidemiologici e sperimentali che testimoniano l'azione protettiva da essa svolta contro patologie croniche degenerative. I paesi del Mediterraneo infatti hanno tassi di morbilità più bassi per malattie croniche soprattutto cardiovascolari e dunque una speranza di vita più alta [1]. Negli ultimi decenni sono stati pubblicati innumerevoli studi sui benefici di essa e di alcune delle sue componenti sulla salute; dimostrando effetti benefici sulle malattie cardiovascolari, sul diabete, sulle demenze, su alcune forme di cancro ed anche sulla depressione [2][3][4][5]. È risultata efficace soprattutto per la prevenzione ed il trattamento del sovrappeso e dell'obesità, il cui aumento nel Mediterraneo è conseguenza di una generale riduzione dell'attività fisica sia nell'età evolutiva che in età adulta [6]. La Conferenza Internazionale sulle diete del Mediterraneo tenutasi a Londra nel gennaio del 2000, ha definito come "dieta mediterranea" l'insieme dei cibi tipici utilizzati agli inizi degli anni '60 in alcune regioni del Mediterraneo come Creta, alcune regioni della Grecia e il Sud dell'Italia [7], con evidenti effetti protettivi nei confronti di patologie cardiovascolari e tumori. Essa è, pertanto, l'unico modello alimentare al mondo ad essere riconosciuto "Patrimonio dell'Umanità" (UNESCO, Nairobi in Kenya, 16 Novembre 2010) e ad essere definito come un sistema radicato nel pieno rispetto del territorio e della sua biodiversità, che assicura la conservazione e lo sviluppo delle attività tradizionali, artigianali, di pesca e raccolta nelle comunità del Mediterraneo come per esempio quelle di Soria in Spagna, Koroni in Grecia, Cilento in Italia e Chefchaouen in Marocco. Lo scienziato Ancient Keys studiò dal 1950 al 1970 intere popolazioni che contrapponevano nella dieta diversi stili di vita stabilendo quali fenomeni culturali, diete e attività, erano le cause principali dei tassi differenti della malattia di cuore fra la popolazione. Agli inizi degli anni '50 egli viaggiò in diversi Paesi e si accorse che, dove i livelli di colesterolemia erano bassi, i medici ospedalieri locali I riferivano rarità dell'infarto miocardico. Egli notò inoltre che le malattie cardiovascolari erano poco frequenti a Creta e in alcune aree d'Italia, come nel Cilento, nonostante l'alto consumo di grassi, in particolar modo dell'olio extravergine d' oliva. Sua moglie si dilettò a misurare periodicamente le sue concentrazioni ematiche di colesterolo trovandole basse con rare eccezioni, rappresentate perlopiù dai membri del Rotary Club del luogo. Keys lanciò il Seven Countries Study of Cardiovascular Diseases rilevando l'importanza della dieta mediterranea e documentandone i benefici sia sulle patologie croniche cardiovascolari sia sul miglioramento dello stato di salute nel tempo. L'esame di 12 000 soggetti tra i 40 ed i 60 anni, residenti in diversi paesi come il Giappone, gli USA, l'Olanda, la Jugoslavia, la Finlandia e l'Italia, confermò l'ipotesi di Keys: quanto più l'alimentazione dei soggetti esaminati si allontanava dagli schemi mediterranei, maggiore era l'incidenza delle cosiddette "malattie del benessere" [8]. Terminate le sue ricerche, Keys scrisse che l'essenza della mediterraneità della dieta risultava essere fondamentalmente vegetariana: pasta e cereali in varie forme, verdure condite con olio di oliva e ogni sorta di frutta e ortaggi di stagione. Da allora si sono susseguiti molti altri studi che hanno meglio documentato e definito l'efficacia di essa in varie patologie, indagando a fondo sulle sue proprietà nutritive. La letteratura scientifica è molto ampia e corposa a riguardo. Il Progetto SUN [9] dell'Università di Navarra in Spagna, ad esempio, ha studiato l'effetto della dieta sull'ipertensione, sul diabete, sulle dislipidemie, sull'obesità, sulla malattia coronarica e su altre patologie con circa 18 000 soggetti reclutati. I risultati disponibili fino ad ora rilevano che vi sarebbe un'associazione inversa tra l'olio extravergine d'oliva o tra l'adesione a un modello alimentare mediterraneo e l'infarto del miocardio; in particolare per gli uomini, dopo 28 mesi di dieta mediterranea ricca di olio d'oliva si evidenziava un ridotto rischio d'ipertensione ed un abbassamento della colesterolemia, suggerendo dunque la superiore qualità dei grassi assunti tramite la dieta mediterranea come possibile causa di questi effetti benefici. Lo Studio ATTICA [3], condotto negli anni 2001-2002, cui hanno partecipato 3024 soggetti (di età compresa fra 20 e 89 anni, per la maggior parte uomini della regione greca di Attica), ha dimostrato che una maggiore aderenza riduce il rischio per lo sviluppo della disfunzione sistolica ventricolare sinistra nei pazienti affetti da sindrome coronarica. Lo Studio EPIC (European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition) [10] è il più vasto studio di popolazione condotto sui rapporti tra dieta e salute, a cui hanno preso parte 520 000 persone provenienti da dieci paesi europei. Lo studio EPIC tentò di chiarire i rapporti tra dieta, fattori ambientali, stile di vita e incidenza di cancro e di altre malattie croniche. Ha evidenziato come un incremento dell'aderenza alla dieta mediterranea corrispondesse a una riduzione dell'incidenza di cancro. Il Lyon Diet Heart Study [11] ha accertato che una dieta di tipo mediterraneo può diminuire il tasso di recidiva dopo un primo infarto miocardico. I risultati dello studio, di tipo randomizzato, mostrano che l'effetto protettivo della Dieta Mediterranea si mantiene fino a quattro anni dopo l'infarto. Lo Studio GISSI-Prevenzione [12] ha invece dimostrato come nei pazienti con infarto miocardico che sono riusciti a mettere in pratica alcuni consigli dietetici, in particolare con l'aumento del consumo di cibi mediterranei, il rischio di morte precoce sia diminuito, indipendentemente da qualsiasi trattamento farmaceutico. # II. Assetto Lipidico e Rischio Cardiovascolare: Possibile Ruolo Della Nutrizione Tra i parametri di rischio cardiovascolare la dislipidemia è un fattore rilevante e indipendente ma ha il vantaggio di essere modificabile. Nelle linee guida sul trattamento delle dislipidemie ESC/EAS [13] si sottolinea l'importanza di un'adeguata dietoterapia per raggiungere desiderabili valori di colesterolemia e trigliceridi, come componente fondamentali delle strategie attuate da società scientifiche internazionali per prevenire dislipidemie e cardiovasculopatie. Gli obiettivi sono quelli di attuare una sana alimentazione per raggiungere un peso corporeo ideale, attenersi ai livelli raccomandati di lipoproteine a bassa densità LDL, ad alta densità HDL, trigliceridi, zuccheri semplici, praticare attività fisica e controllare la pressione arteriosa. Nel corso degli anni numerosi studi epidemiologici e fisiopatologici hanno messo in luce che dislipidemie e obesità viscerale sono strettamente connesse tra loro [14]. La quantità di tessuto adiposo addominale, stimata con la misurazione della circonferenza vita, è direttamente proporzionale all'insulino-resistenza, all'aumento della concentrazione plasmatica di trigliceridi (ipertrigliceridemia) e LDL e ad un prolungato tempo di circolo nel plasma di queste lipoproteine e dei loro prodotti catabolici, altamente aterogeni [15]. Una correlazione inversa tra livelli di colesterolo HDL e rischio cardiovascolare è ampiamente documentata in letteratura. L'analisi combinata di quattro studi prospettici americani, ha messo in luce come per ogni decremento di 1 mg di HDL il rischio cardiovascolare aumentava del 3% nelle donne e del 2% negli uomini [16]. Diversi effetti ateroprotettivi sono stati attribuiti alle HDL e dimostrati negli ultimi 20 anni. Tra i più importanti la protezione dalla perossidazione delle LDL e dai danni cellulari provocate dalle stesse LDL ossidate; il ruolo centrale delle HDL nel trasporto inverso del colesterolo dai tessuti periferici al fegato; gli effetti antinfiammatori sui monociti e sulla componente cellulare delle pareti vasali; l'aumento della vasodilatazione arteriosa; l'inibizione dell'aggregazione piastrinica; l'inibizione del reclutamento di cellule infiammatorie all'interno della parete arteriosa [17][18][19]. L'accumulo di grasso viscerale rappresenta dunque un fattore di rischio di malattia cardiovascolare. La dislipidemia che tipicamente si associa all'obesità viscerale è caratterizzata da tre fattori: aumento della concentrazione plasmatica di trigliceridi, presenza di lipoproteine a bassa densità in prevalenza (più piccole e dense del normale marcatamente aterogene) e bassi livelli di colesterolo nelle lipoproteine ad elevata densità. Tale fenotipo lipidico è soventemente associato a placche ateromasiche instabili e ad un marcato aumento dei markers di infiammazione. Dato lo stretto legame tra grasso viscerale e alterazione dell'assetto lipidico, appare clinicamente utile per la correzione della dislipidemia, l'introduzione di appropriate norme dietetiche e dell'incremento dell'attività fisica, come raccomandato dalle linee guida dell'American Diabetes Association e del NCEP-ATP III [11,20]. La dislipidemia aterogena rappresenta uno dei casi in cui il pattern dietetico mediterraneo esplica il suo effetto protettivo modulando favorevolmente alcuni importanti fattori di rischio. Studi epidemiologici [8] hanno osservato una grande differenza geografica nei tassi di incidenza di malattie cardiovascolari. Rispetto ai paesi del nord Europa o negli Stati Uniti, nei paesi del sud Europa, come la Francia, la Spagna, in Grecia e in Italia vi è una bassa incidenza di malattia coronarica (CHD). Il modello alimentare mediterraneo è stato il fattore più frequentemente invocato per spiegare questa differenza. La prima piramide alimentare mediterranea fu elaborata da Willet nel 1993: essa prevedeva un consumo giornaliero abbondante di cereali, patate, frutta fresca e secca, vegetali, legumi, olio d'oliva e piccolo o moderato consumo di formaggio, e yogurt; poche volte a settimana piccole o moderate quantità di pesce, pollame, uova e dolci (zuccheri concentrati, miele); poche volte durante il mese piccole quantità di carne rossa. Il vino era ammesso con moderazione e veniva consigliata un'attività fisica abituale. La revisione 2009 delle Linee guida redatta dall'Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (INRAN), presenta la nuova piramide alimentare, la stessa utilizzata nel corso di tale studio. La nuova piramide (Fig. 1) sostituisce la precedente e si rivolge alla popolazione italiana di età compresa tra i 18 e i 65 anni. Rispetto alla piramide precedente, non dà indicazioni iconografiche degli alimenti ma, fornisce indicazioni sulla frequenza di consumo giornaliera e settimanale. Tuttavia, è difficile definire la dieta mediterranea come una caratteristica comune di tutti i paesi del Mediterraneo, poiché esistono differenze notevoli. Ad esempio, la variante italiana della dieta mediterranea è caratterizzata da un maggior consumo di pasta, mentre in Spagna, il consumo di pesce è particolarmente elevato. In Grecia, si consumano grandi quantità di pane integrale, cibi cotti e insalate ricche di olio d'oliva, dove verdure e legumi sono compaiono in grandi quantità. Tuttavia, in tutti i casi nell'alimentazione del bacino mediterraneo il rapporto grassi monoinsaturi/ saturi è molto superiore rispetto al nord Europa e Nord America [21] così come l'apporto di molecole antiossidanti e antinfiammatorie, per il più abbondante consumo sia di frutta e verdure fresche [22][23][24][25][26], sia di olio extravergine di oliva come condimento [27], sia per il maggior consumo di prodotti ittici e dunque di PUFAs [28] nonché di altre sostanze bioattive di origine marina [29][30][31][32][33][34]. # III. # Materiali e Metodi Al fine di dimostrare come la dieta mediterranea possa avere effetti benefici sulla salute umana rispetto a un modello dietetico tipicamente occidentale tendenzialmente iperproteico, abbassando i livelli di colesterolo e trigliceridi e quindi il rischio di sviluppare patologie cardiovascolari e diabete di tipo 2, abbiamo testato la sua efficacia su un campione di adulti abruzzesi non affetto da dislipidemia su base familiare senza alcuna evidenza clinica di CHD. Il trial prospettico sperimentale è stato svolto presso l'Unità Operativa di Nutrizione Umana e Clinica del Dipartimento di Scienze Orali Mediche e Biotecnologiche dell'Università di Chieti, con l'obiettivo di testare significativamente l'efficacia della dieta mediterranea su pazienti con alterazioni dell'assetto lipidico, utilizzando la piramide alimentare come unico strumento terapeutico per tutto l'iter di indagine, in assenza di qualsiasi tipo di terapia farmacologica coadiuvante. Nel trial clinico sono stati adottati sul campione arruolato due modelli alimentari diversi, in corrispondenza dei quali abbiamo registrato cambiamenti significativi dei livelli sierici di lipoproteine e trigliceridi. Abbiamo osservato le associazioni di questi due modelli alimentari con il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari monitorando l'andamento dei biomarkers (colesterolo totale, LDL, HDL, trigliceridi) e le variazioni del WHR e del BMI. Per evitare che le disuguaglianze riscontrate tra i due gruppi sui livelli di Colesterolo LDL o HDL indotte dalle due diete potessero essere associate a differenze biologiche di sesso e di età, sono stati inseriti nello studio sia uomini che donne, di età compresa tra i 35 e i 45 anni e l'aderenza dei pazienti ai modelli dietetici somministrati è stata rigorosamente e periodicamente controllata. Sono stati arruolati 40 soggetti, 20 uomini e 20 donne di professioni diverse e di età compresa tra i 35 e i 40 anni, [35]. Ogni partecipante è stato sottoposto inizialmente ad anamnesi familiare, clinica e patologica, a valutazione della composizione corporea (peso, altezza, circonferenza vitae, circonferenza fianchi, WHR, BMI), dello stato nutrizionale e a un recall dietetico delle 24 ore, utile per conoscere le abitudini alimentari e l'apporto idrico medio quotidiano. Da ogni referto clinico, sono stati estrapolati i livelli di Colesterolo totale, LDL, HDL e Trigliceridi. I pazienti sono stati classificati secondo la World Health Organization BMI Classification [36] in: sottopeso (BMI <18.4), normopeso (BMI 18.5-24.99), sovrappeso (BMI 25.0-29.9), obesità grado I (30.0-34.9), obesità grado II (BMI 35.0-39.9), obesità grado III (BMI > 40) e in base al WHR in obesità ginoide, androide o mista. Per ciascuno è stato calcolato il metabolismo basale (MB) e il relativo fabbisogno calorico giornaliero. Il modello alimentare mediterraneo (Dieta M) impiegato per il primo gruppo, è stato elaborato secondo le linee guida redatte dall'INRAN, facendo riferimento all'ultima revisione del 2009 [37]. Dopo aver calcolato il Metabolismo Basale tramite la formula di Harris-Benedict [38] e il fabbisogno energetico giornaliero totale, tenendo conto del livello di attività fisica svolta (LAF), sono state formulate diete personalizzate rispettando porzioni settimanali suggerite delle Linee Guida INRAN, adattando le grammature all'introito calorico necessario (Fig. 2). Si definisce porzione la quantità standard di alimento espressa in grammi, che si assume come unità di misura da utilizzare in un'alimentazione corretta al fine di soddisfare il fabbisogno nutrizionale del consumatore. ? Spuntino 15% delle kcal tot. ? Pranzo 40% delle kcal tot. ? Merenda 5% delle kcal tot. ? Cena 30% delle kcal tot. Dopocena: infusi, thè, tisane, camomilla senza zucchero È stata inoltre consigliata un'attività fisica leggera di circa 30 minuti/die (per es. passeggiata). Il pattern dietetico del gruppo controllo (dieta L), di stampo occidentale, pur essendo sempre ipocalorico, differiva una maggiore assunzione di carne rossa e di prodotti lattiero-caseari, cereali raffinati e ridotto consumo di frutta e verdura. (Fig. 2 e IV. # Risultati I 40 soggetti arruolati nello studio non avevano ricevuto nessuna indicazione dietetica prima del trial. Sono stati seguiti per circa sei mesi. Dopo la prima fase di assessment, a distanza di tre mesi, è stato effettuato uno screening ematologico e tutti i partecipanti sono stati rivalutati da un punto di vista antropometrico e nutrizionale. Le variabili monitorate in ciascun gruppo con i due diversi pattern dietetici sono state: peso, circonferenza vita, WHR, BMI, colesterolo totale, LDL, HDL e trigliceridi. L'assetto lipidico dei soggetti in dieta M ha dimostrato una miglior risposta, mentre il gruppo in dieta L ha subito un graduale peggioramento dei livelli ematici di LDL e HDL nonostante un lieve calo ponderale dei soggetti con BMI > 24.9. Per ciascuna variabile considerata è stata fatta distinzione dei sessi all'interno dei due gruppi di studio. Al primo controllo, a 3 mesi, i partecipanti di sesso maschile e femminile in dieta M hanno mostrato una variazione percentuale media (??%) della circonferenza vita rispettivamente del -2 % e del -2.86 % circa rispetto ai valori iniziali, mentre per i partecipanti di sesso maschile e femminile in dieta L questa variazione risultava rispettivamente del -1.6 % e del -0.94% circa. Anche il peso corporeo ha subito una riduzione del -4.8% circa negli uomini e del -3.5% nelle donne in dieta M; del -2.1% negli uomini e del -1.2 % nelle donne in dieta L. Al secondo controllo, a 6 mesi la ??% della circonferenza vita rispetto al primo è stata la seguente: circonferenza vita per le donne -2.80% e per gli uomini -3.68% in dieta M; per le donne -0.74% e per gli uomini -1.13% in dieta L (p <0.05). A fine studio è stata calcolata la ??% della circonferenza vita rispetto alla fase iniziale (dopo 6 mesi): il gruppo in dieta M ha subito complessivamente una riduzione del -7.99% (p <0.05), mentre il gruppo in dieta L del -5% (p <0.05). Mentre la variazione percentuale del peso è stata -7.77% (p <0.05) nel gruppo DM essa è stata pari a -3.2% (p <0.05) del gruppo DL. Tali variazioni sono state poi confermate dal calcolo del BMI che, al termine del follow-up dopo i 6 mesi, ha mostrato nelle donne un decremento medio percentuale (p <0.01) del -18.5% in dieta M e del -7.6% nelle donne in dieta L (Fig. 4a). Ancor più positivi sono stati i risultati dei partecipanti di sesso maschile in dieta M con una variazione percentuale (p< 0.01) del BMI del -24.5%, rispetto al -10.4% degli uomini in dieta L (Fig. 4b). Dopo il primo e il secondo trimestre di intervento dietetico sono state valutate le variazioni nell'assetto lipidico. Trascorsi sei mesi dalla fase iniziale, confrontando i valori registrati al primo controllo con quelli raccolti al secondo, si nota che il valore medio del colesterolo totale del gruppo in dieta M è inferiore a quello del gruppo in dieta L (fig. 5a). Dai valori registrati al secondo controllo (a sei mesi) si nota che il valore medio del colesterolo LDL del gruppo in dieta M è inferiore rispetto al valore medio del gruppo in dieta L (fig. 5b). A sei mesi (ossia al secondo controllo), abbiamo riscontrato una differenza significativa anche a carico del colesterolo HDL (fig. 5c) e dei trigliceridi (fig. 5d) con i risultati migliori sempre per il gruppo in dieta M. Figura 5d: Variazione dei livelli di trigliceridi nei due gruppi di pazienti tra la fase iniziale, il primo ed il secondo controllo con distinzione tra i sessi. V. # Discussione I partecipanti in DM hanno secondo il pattern dietetico somministrato, più verdura, più frutta di stagione, frutta oleosa, olio extra vergine d'oliva, più pesce e cereali integrali rispetto al gruppo DL. Tali partecipanti invece hanno seguito un pattern dietetico pur ipocalorico ma senza indicazioni di frequenza di consumo ad indirizzo "mediterraneo", pertanto consumando per sei mesi più carne rossa, cereali raffinati, meno olio extravergine d'oliva, più prodotti lattiero caseari freschi e stagionati, più affettati e meno vegetali. Entrambi i gruppi hanno incrementato l'attività fisica con una camminata di 30 minuti al giorno, praticata 3 volte a settimana. Al termine del trial abbiamo osservato associazioni significative tra il modello dietetico mediterraneo e quello occidentale con diversi biomarkers plasmatici. In particolar modo la dieta L è risultata significativamente (p<0.001) correlata ad un peggioramento del colesterolo HDL e LDL per entrambi i sessi (HDL gruppo DM: +20.7%; HDL gruppo DL: -21.4%; LDL gruppo DM: -34.6%; LDL gruppo DL: -1%). Inoltre anche il WHR nel gruppo DL non ha mostrato importanti cambiamenti, così come il BMI che, dopo sei mesi, pur essendosi ridotto grazie al calo ponderale, non è tuttavia rientrato nel range di normalità: il BMI medio in dieta L è risultato 27.8 (-9.8%) per il sesso maschile e 28.25 (-7.6%) per il sesso femminile. Il pattern dietetico di stampo mediterraneo ha invece riequilibrato i valori dislipidemici iniziali e migliorato il BMI che è rientrato nella fascia di normopeso: BMI medio in dieta M 24.2 (-26.3%) per il sesso maschile e 24.02 (-18.4%) per il sesso femminile. Nella valutazione del rischio per la salute umana è importante considerare non solo il BMI, ma anche la distribuzione del tessuto adiposo: è stato, infatti, riconosciuto che un'eccessiva quantità di grasso viscerale è un importante fattore di rischio per la salute, indipendentemente dal BMI. Le persone con un grasso localizzato prevalentemente in sede addominale hanno infatti un aumentato rischio di diabete tipo 2, dislipidemia, ipertensione arteriosa e malattie cardiovascolari [39]. Pertanto al termine dello studio abbiamo calcolato la ??% (p<0.05) della circonferenza vita: nel gruppo in DM è risultata pari a -4.74% per il sesso femminile e -6.41% per il sesso maschile; nel gruppo in DL è risultata invece pari a -2.4% per il sesso femminile e -1.73% per il sesso maschile; la ??% (p<0.05) del peso corporeo: nel gruppo in DM -5.94% per il sesso femminile e -9.27% per il sesso maschile; nel gruppo in DL -2.6% per il sesso femminile e -3.2% per quello maschile. Da tali risultati, è ragionevole pensare che la dieta mediterranea, considerata, in base alle sue tradizionali caratteristiche come una dieta prevalentemente ricca in legumi, frutta, verdure, grassi vegetali prevalentemente mono/polinsaturi, è capace di esercitare un benefico effetto sull'adiposità viscerale e sui livelli ematici di colesterolo totale, LDL, HDL e trigliceridi. Durante entrambi i controlli, sono state raccolte informazioni anche sui livelli di sazietà prima e dopo i pasti. Nel gruppo DL il 60% dei pz, dopo circa un'ora dal pasto, presentava leggera sonnolenza e senso di fame. Mentre nel gruppo DM l'85% dei pz sentiva senso di sazietà e non presentava sonnolenza. Tutto ciò è giustificato dal fatto che la DM migliora sia la sazietà immediata dopo il pasto che la "satiation" ovvero il senso di fame che precede il pasto successivo. Il tempo di masticazione si allunga così come il tempo di svuotamento gastrico e quindi si modula la K secrezione di tutti gli ormoni gastroenterici, CCK, grelina, insulina, responsabile della sonnolenza postprandiale. Questo perché la dieta mediterranea ha una bassa densità energetica ed un basso "carico glicemico" grazie al consumo di preferibilmente integrali a basso indice glicemico. Anche trigliceridi, colesterolo totale, HDL, LDL dopo sei mesi di trial clinico hanno subito variazioni importanti e significative (p<0.01). La ??% (p<0.01) della trigliceridemia: nel gruppo in DM: -26% nel sesso femminile e -27.8% nel sesso maschile; nel gruppo in DL -13.4% nel sesso femminile e -10.6% nel sesso maschile. La ??% (p<0.01) della colesterolemia totale nel gruppo in DM -20.55% nel sesso femminile e -21.1% in quello maschile; nel gruppo in DL -1.36% nel sesso femminile e -0.5% in quello maschile. La ??% (p<0.01) dell'LDL: nel gruppo in DM -22.17% per il sesso femminile e -30% nel sesso maschile; nel gruppo in DL -2.56% per il sesso femminile e +1.22% per il sesso maschile. La ??% (p<0.01) dell'HDL: nel gruppo in DM +20% per il sesso femminile +28.55% per quello maschile; nel gruppo in DL -23.6% per il sesso femminile e -14.4% per il sesso maschile. Le differenze riscontrate sono giustificate dalla diversa percentuale lipidica impostata sul fabbisogno tot/die individuale e dalla scelta degli alimenti. La quota lipidica della DM è in gran parte rappresentata dall'olio extravergine d'oliva con i rispettivi indubbi vantaggi derivanti dalla sua composizione chimica e dall'essere vettore di molte sostanze antiossidanti. Il consumo di questo alimento si associa a un basso apporto dietetico di acidi grassi saturi. Le azioni protettive antiaterogene dipendono non solo dal suo elevato contenuto di acidi grassi monoinsaturi (MUFA) ma anche dai suoi componenti fenolici aventi una nota azione protettiva nei confronti dell'ossidazione delle LDL [27]. La dieta può modificare la composizione di quest' ultime: il consumo dell'olio extravergine d'oliva ricco in fenoli aumenta significativamente il contenuto in acido oleico e fenoli delle LDL e le rende più resistenti all'ossidazione, inoltre i fenoli stessi svolgono un'azione cardioprotettiva [23,24]. I benefici del consumo di olio extravergine d'oliva vanno ben oltre il miglioramento del profilo lipidico e comprendono un effetto antiossidante sulle lipoproteine, antiinfiammatorio vascolare, antitrombotico, di prevenzione della stabilità insulinica, della funzione endoteliale, di miglioramento della pressione arteriosa [27]. Inoltre, l'effetto ipocolesterolemizzante di una dieta ricca in PUFA è riconducibile al binomio acido eicosapentaenoico (EPA) + acido docosaesaenoico (DHA). Il consumo di modeste quantità di pesce (2 porzioni a settimana come il pattern DM) che corrispondono a 250 mg/giorno di apporto di EPA + DHA, riduce il rischio di decesso per CHD del 36% in confronto al non consumo [28]. I grassi saturi (SFA) di origine industriale che troviamo in burro, pancetta, agnello, formaggi stagionati, carne rossa ecc. (pattern DL) esplicano un effetto deleterio: aumento del colesterolo LDL, riduzione del colesterolo HDL, aumento dei trigliceridi, promozione dell'insulino-resistenza, alterazione del metabolismo lipidico e bilancio delle prostaglandine in senso pro-trombotico [28], induzione di risposte pro-infiammatorie e di attivazione endoteliale. La frutta secca, inserita solo nel pattern dieta M, ha anch'essa influenzato le variazioni percentuali dei livelli sierici di colesterolo LDL e HDL durante il follow-up, come già dimostrato in letteratura scientifica: il suo consumo in piccole quantità è una caratteristica della dieta mediterranea degli anni'60 con una significativa associazione inversa con il rischio di malattia coronarica. Il meccanismo attraverso il quale la frutta secca può migliorare lo stress ossidativo con un aumento della resistenza delle LDL all'ossidazione, è rappresentato dall' elevato contenuto in antiossidanti, (fenoli e tocoferoli) localizzati nella pellicola del guscio esterno, PUFA e MUFA. Gli effetti del consumo di questi alimenti sono stati osservati e analizzati in diversi studi scientifici e risultano essere dose-dipendenti [28]. Al fine di quantificare la capacità che ha un alimento di promuovere la crescita degli ateromi a livello endoteliale in arterie e arteriole, è stato introdotto dal Dipartimento di Nutrizione Clinica e metabolismo lipidico dell'Università dell'Oregon l'indice di aterogenicità [40]. Si calcola per 100 gr di alimento con la seguente formula: (1.01 x g ac. grassi saturi) + (0.05 x mg colesterolo). L'aterogenicità di un alimento dipende soprattutto dalla concomitante presenza di elevate quantità di colesterolo ed acidi grassi saturi, ed in particolare dalla concentrazione di questi ultimi. Sono da consumare quelli con indice CSI (Cholesterol Saturated Fat Index) inferiore a 10 (figura 6). In questo trial per il pattern dieta M, abbiamo seguito le indicazioni favorevoli all'uso di carni bianche (pollame, ovini, suino magro), di pesce. I formaggi sono in gran parte sconsigliati per il loro alto contenuto sia in grassi saturi che in colesterolo. Sono permessi latte, yogurt parzialmente scremati o formaggi scremati. Il consumo di uova è stato limitato a 3 uova a settimana. È bene anche ribadire il ruolo protettivo degli antiossidanti nella prevenzione delle malattie degenerative fra cui l'aterosclerosi: le popolazioni con bassa incidenza di coronaropatie ed altre patologie cardiovascolari sono anche quelle in cui è elevato il consumo di frutta, verdura e vino rosso, alimenti che forniscono un elevato apporto di composti ad alto potere antiossidante [22][23][24][25][26][27][28][29][30][31][32][33][34]. La dieta italiana è rimasta aderente al modello mediterraneo fino agli anni '60 circa; dopo si è assistito ad un netto allontanamento dal profilo mediterraneo con un consumo di proteine vegetali sempre minore, sempre meno carboidrati, sempre più grassi, in particolare di origine animale. Diversi sono i punti deboli della dieta italiana attuale: troppe proteine animali, troppi grassi (animali e vegetali) a scapito dei carboidrati complessi (fig. 7). La dieta mediterranea non è un programma dietetico, ma un vero e proprio stile di vita, con la caratteristica di utilizzare quantità abbondanti di ortaggi, cereali e frutta fresca, l'olio extravergine di oliva come principale fonte di grassi, il consumo frequente di pesce, poca carne e poco vino durante i pasti. Fra tutti i regimi alimentari del mondo, quello mediterraneo ha dimostrato di essere uno dei più sani [41]. Infatti il consumo assiduo di grassi saturi di origine animale all' interno di un regime dietetico prevalentemente proteico, è uno dei fattori di rischio più severi per l'accumulo di grasso viscerale e quindi di malattia cardiovascolare. La dislipidemia che si associa all'obesità viscerale è caratterizzata da: aumento della concentrazione plasmatica di trigliceridi, presenza di lipoproteine a bassa densità in prevalenza più piccole e dense del normale, marcatamente aterogene, bassi livelli di colesterolo nelle lipoproteine ad elevata densità. Tale fenotipo lipidico è sovente associato a placche ateromasiche instabili e ad un marcato aumento dei markers di infiammazione [42], da cui la necessità di instaurare terapie farmacologiche e parafarmacologiche [43] volte alla correzione degli alterati assetti lipidici. L'alimentazione è uno dei fattori che maggiormente incidono sulla nostra salute in modo diretto e indiretto [44], sullo sviluppo, sul rendimento e sulla produttività delle persone, sulla qualità della vita e sulle condizioni psico-fisiche. Ma soprattutto una dieta corretta può divenire un validissimo e prezioso strumento di prevenzione e di trattamento per numerose patologie. # Bibliografia 1![Figura 1: La nuova piramide alimentare della dieta mediterranea proposta dalle Linee GuidaINRAN 2009 suddivisi, in maniera randomizzata, in due gruppi da 20, contenente ciascuno 10 uomini e 10 donne. Per il reclutamento del campione i partecipanti al trial non potevano avere abitudini tabagiche (almeno un anno e mezzo di astinenza dal fumo), né alcun trattamento farmacologico in corso; altri criteri di esclusione sono stati l'assunzione di integratori o pillola anticoncezionale e pregresse diagnosi di infarto cardiaco, angina pectoris, diabete, ulcere duodenali o gastriche, ictus cerebri, patologie epatiche, calcoli alla cistifellea. Tutti presentavano assetto lipidico alterato secondo le Lineeguida del National Cholesterol Education Program (NCEP) con livelli di Colesterolo Totale > 200 mg/dl, HDL< 45 mg/dl, LDL > 130 mg/dl e Trigliceridi> 150 mg/dl[35]. Ogni partecipante è stato sottoposto inizialmente ad anamnesi familiare, clinica e patologica, a valutazione della composizione corporea (peso, altezza, circonferenza vitae, circonferenza fianchi, WHR, BMI), dello stato nutrizionale e a un recall dietetico delle 24 ore, utile per conoscere le abitudini alimentari e l'apporto idrico medio quotidiano. Da ogni referto clinico, sono stati estrapolati i livelli di Colesterolo totale, LDL, HDL e Trigliceridi. I pazienti sono stati classificati secondo la World Health Organization BMI Classification[36] in: sottopeso (BMI <18.4), normopeso (BMI 18.5-24.99), sovrappeso (BMI 25.0-29.9), obesità grado I (30.0-34.9), obesità grado II (BMI 35.0-39.9), obesità grado III (BMI > 40) e in base al WHR in obesità ginoide, androide o mista. Per ciascuno è stato calcolato il metabolismo basale (MB) e il relativo fabbisogno calorico giornaliero.](image-2.png "Figura 1 :") 2![Figura 2: Porzioni settimanali suggerite nella dieta M, secondo le Linee Guida INRAN del 2009. Il fabbisogno calorico giornaliero è stato così ripartito: ? Carboidrati 55-57% delle kcal tot/die (pane, pasta e riso integrali, miglio, orzo, farro, quinoa, bulgur, avena, legumi, ecc.) ? Lipidi 26-28% delle kcal tot/die (olio extravergine d'oliva) così ripartiti: grassi saturi non più del 7-10% delle kcal totali (burro, margarina, pancetta, crema di nocciole e cacao, carne rossa, formaggi stagionati); acidi grassi monoinsaturi fino al 20% delle kcal totali (olio extravergine d' oliva), acidi grassi polinsaturi circa il 7% delle kcal totali con un rapporto omega-6/omega-3 intorno a 5:1 (?6: noci, cereali, pane integrale, oli vegetali; ?3: pesce (EPA e DHA), noci (ALA), oli vegetali come l'olio di lino) ? Proteine 15-17% delle kcal tot./die (proteine animali: carne bianca, uova, pesce, latte e derivati, proteine vegetali: cereali, legumi, frutta secca.) ? Il consumo di sale è stato limitato a 5g al giorno, pertanto il sodio a 2.5g/die. ? Zuccheri semplici non più del 10% delle kcal totali ? Fibra 30g/die (preferibilmente solubile) ? Frutta secca oleosa intorno ai 20g/die ? 5 porzioni/die di frutta e verdura ? Acqua 1.5-2 l/die ? I sei pasti totali giornalieri prevedevano la seguente ripartizione calorica: ? Colazione 20% delle kcal tot. ? Spuntino 15% delle kcal tot. ? Pranzo 40% delle kcal tot. ? Merenda 5% delle kcal tot. ? Cena 30% delle kcal tot. Dopocena: infusi, thè, tisane, camomilla senza zucchero](image-3.png "Figura 2 :") 3a![Figura 3a: Porzioni settimanali assunte dal gruppo in dieta L](image-4.png "DieteticFigura 3a :") 4a![Figura 4a: Variazione percentuale media del BMI nelle donne in dieta M confrontata a quella delle donne in dieta L dall'inizio dello studio al primo (-9% in DM rispetto al -4.3% in DL) e secondo controllo (-10.4% in DM rispetto a -3.6% in DL).](image-5.png "Figura 4a :") 4b![Figura 4b: Variazione percentuale media del BMI nelle donne in dieta M confrontata a quella delle donne in dieta L dall'inizio dello studio al primo (-12.7% in DM rispetto al -4.4% in DL) e secondo controllo (-11.73% in DM rispetto a -5.6% in DL).](image-6.png "Figura 4b :") 5a![Figura 5a: Variazione dei livelli di Colesterolo totale nei due gruppi di pazienti tra la fase iniziale, il primo ed il secondo controllo.](image-7.png "Figura 5a :") 5b![Figura 5b: Variazione dei livelli di Colesterolo LDL nei due gruppi di pazienti tra la fase iniziale, il primo ed il secondo controllo.](image-8.png "Figura 5b :") 6![Figura 6: Potenziale ipercolesterolemizzante favorente l'ostruzione di vasi sanguigni INDICE CSI di alcuni alimenti.Allo schema nutrizionale tipicamente mediterraneo corrisponde un CSI di circa 18 per 1000 kcal, valore da considerare molto buono. La dieta tendenzialmente iperproteica tipicamente occidentale, che prevede il consumo frequente di carne rossa a settimana, insieme ad altri alimenti iperproteici come il parmigiano, insaccati, uova, formaggi stagionati ecc., ha invece un indice CSI molto più elevato.La dieta italiana è rimasta aderente al modello mediterraneo fino agli anni '60 circa; dopo si è assistito](image-9.png "Figura 6 :") 7![Figura 7: La disponibilità di alimenti in Italia: quanto ci si è allontanati dal modello della Dieta Mediterranea (Elaborazione INRAN su dati ISTAT e FAOSTAT, 2011).](image-10.png "Figura 7 :") ( )K © 2019 Global Journals © 2019 Global Journals * The Mediterranean Diet and Cardiovascular Health M AMartínez-González AGea MRuiz-Canela Circ. Res 124 2019 * Long term effect of Mediterranean diet on weight loss AJiménez-Cruz A BJiménez APichardo-Osuna Nutr. 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